ALBERTO BRAGLIA

Fin da bambino mio padre mi parlava del suo carissimo amico Alberto Braglia.
Per lui quell’amico aveva rappresentato la guida e l’esempio da imitare quando si allenava nella palestra della Panaro.
Mi raccontava quando Alberto, più anziano di lui di dieci anni, mostrava ai più giovani in qual modo doveva essere realizzato un esercizio ginnico di una certa difficoltà.
Egli svolgeva l’esercizio in modo perfetto ed il più lentamente possibile. Le parole erano inutili. Bastava osservare attentamente quelle esecuzioni, metterle bene “a mente”, pensarle ad occhi chiusi per alcuni momenti nella loro esecuzione nei minimi particolari per poterle, anche se stentatamente alle prime volte, eseguire. Per mio padre questo rappresentava una vera conquista. Era motivo di vero orgoglio l’essere riuscito a compiere ciò che sino a poco prima si riteneva fosse quasi impossibile realizzare.
Mio padre mi narrava di quando, durante gli allenamenti, Braglia contava tutte le “milanesi”, comunemente chiamate mulinelli, (volteggi consecutivi di tutto il corpo attorno al cavallo con le mani ben poggiate sulle maniglie) effettuate dai suoi compagni. Al termine dell’allenamento egli toglieva le maniglie dall’attrezzo e poggiando solamente le dita, con le mani atteggiate “a coppa”, sulla groppa invitava i compagni a contare le esercitazioni che andava facendo. Ebbene, prima di poggiare i piedi a terra Alberto aveva eseguito tutte le “milanesi” dei compagni sia da destra che da sinistra.
Braglia era veramente un “tacito” trascinatore. Durante gli allenamenti era sempre in movimento. Passava da un esercizio ad un altro, tentava nuove esercitazioni, chiedendo che gli fosse fatta l’assistenza adeguata, sollecitava i compagni ad emularlo. Ma lui era sempre il vincitore, l’amico da imitare.
Sotto i portici del Collegio, a Modena, un negoziante aveva esposto un marchingegno di orologio che esibiva un omino meccanico che, appeso ad una sbarra, compiva strabilianti e differenti evoluzioni ad ogni battere del pendolo. Orbene, Alberto trascorreva intere ore per studiare quegli assurdi movimenti, li elaborava e, in palestra, li tentava e realizzava.
La volontà, la caparbietà e la capacità di sacrificio di Braglia erano veramente proverbiali. Ai primi (ed ultimi) Giochi Panellenici del 1906 (che si sarebbero dovuti tenere ogni 10 anni) Braglia stravinse la gara di arrampicata alla fune sia per la quantità delle salite eseguite sia per la difficoltà della esecuzione. Oltre a superare tutti gli altri concorrenti per il numero delle salite, fu la tecnica da lui usata a sbalordire i giudici: egli saliva e scendeva da quella fune solamente con l’uso delle braccia. Ogni bracciata veniva effettuata con il braccio portante, la cui mano impugnava saldamente la fune, flesso contro il corpo mentre l’altro compiva un movimento in fuori prima di allungarsi per afferrare la fune e trascinare, flettendosi, tutto il corpo verso l’alto. Le gambe, libere dalla fune, erano atteggiate a squadra. All’ultima bracciata si dovette aiutarlo ad abbandonare la fune: le mani gli si erano rattrappite e non riuscivano più a “mollare la presa”.
Con l’andare del tempo mi resi conto che quel fenomeno era stato uno di quei pochi al mondo ad avere iniziato la Ginnastica moderna, quella Ginnastica che oggi tutti conosciamo.
A quei tempi le esercitazioni ginniche erano molto statiche ed esaltanti la forza muscolare. Da pochi anni l’Italia si era liberata dal giogo straniero ed ancora imperavano gli indirizzi educativi dell’Obermann tesi al potenziamento del fisico per poterlo rendere sempre più efficace a combattere il nemico.
In quelle esercitazioni l’acrobatismo veniva assolutamente bandito, anzi, deriso e si praticavano solamente esercizi di forza e di potenza muscolare. Classiche erano le così dette “posizioni di Statua” assunte all’inizio delle varie manifestazioni e gare e mantenute per tutta la loro durata. Si verificavano solamente, durante questi lunghi periodi, alcune variazioni assunte “a tempo determinato”.
Braglia fu tra i primi al mondo ad effettuare delle esercitazioni in cui alla forza si univano la musicalità ed il ritmo dell’esercizio mediante successioni di movimenti in cui si alternavano interventi di forza ad esecuzioni di slancio. L’unica differenza che li distingueva dall’acrobatica erano gli atteggiamenti del corpo che rendevano l’esecuzione più ritmica ed aggraziata. L’analogia con i movimenti del “saltimbanco” venivano differenziati nella ginnastica dovendoli ottenere con un atteggiamento del corpo ben preciso. Le gambe dovevano essere sempre tese. I piedi sempre distesi. Gli esercizi dovevano essere intervallati da pause di “riposo attivo” durante il quale i movimenti eseguiti dovevano essere sì rilassanti ma eleganti ed armoniosi. L’esecuzione dell’esercizio doveva esprimere una palese musicalità in cui le evoluzioni manifestavano un vero e proprio stato d’animo.
Braglia non solo dimostrò di essere uno dei più grandi iniziatori di questa nuova tecnica ginnica, ma di esserne il più alto rappresentante vincendo, nella Ginnastica, in assoluto, oltre che la Panellenica del 1906, ben altre due Olimpiadi, del 1908 e del 1912.
Mi raccontava mio padre che alle Olimpiadi di Stoccolma i giudici di gara si alzavano dal tavolino per meglio seguire le evoluzioni di Alberto al termine delle quali applaudivano dichiarando apertamente che non esisteva un punteggio sufficiente per valutare come si sarebbe dovuto quelle così strabilianti esecuzioni.
Memorabile la così detta “entrata alla Braglia” alle parallele. Si trattava di aggredire l’attrezzo passando dalla sospensione alla verticale, cambiando automaticamente anche la direzione, utilizzando la velocità ed il contemporaneo intervento dei muscoli direttamente interessati.
L’avere vinto nell’arco di sei anni ben tre Olimpiadi nella Ginnastica non è certo cosa da poco, soprattutto in quei tempi nei quali le novità tecniche trovavano sì dei seguaci ma anche tanta contrarietà ed ostilità.
Se pensiamo che queste vittorie Alberto Braglia le ha ottenute solamente con le proprie forze e con il proprio ingegno senza l’ausilio delle sostanze dopanti, di cui oggi si fa tanto uso ed abuso, la figura del nostro eroe risulta ancor più fulgida.
L’ingegno di Braglia si rivelò in tutta la sua grandezza quando ideò un “numero” teatrale che ebbe plausi in tutto il mondo: “Fortunello e Cirillino”.
Già aveva tentato in passato delle particolari esibizioni che non trovarono un gran successo. Nel 1910, dopo i successi ottenuti ad Atene nella Panellenica ed alla Olimpiade di Londra, Braglia iniziò una serie di tentativi per portare la sua Ginnastica in teatro. A quei tempi erano molto graditi dalla popolazione modenese gli spettacoli circensi in cui si esibivano “numeri” acrobatici. Egli costruì un attrezzo speciale a forma di rampa (come quelle usate dagli sciatori nelle gare di salto) sulla quale, sistematosi su di un carrello (che sarebbe stato bloccato di colpo alla sua estremità inferiore), prendeva velocità andando a lanciarsi, al termine del tragitto, in alto per poi cadere su di una rete. Al suo debutto, purtroppo, l’esercizio non riuscì. Braglia invece di cadere sulla rete appositamente sistemata su palcoscenico, precipitò sull’orchestra e ne uscì con molteplici fratture.
Guarito, nel 1912 si presentò alle Olimpiadi di Stoccolma dove vinse sia il titolo assoluto che quello di squadra.
Dopo le Olimpiadi Braglia riprese i suoi tentativi nel volere offrirsi al pubblico con numeri di Ginnastica.. Diede inizio alla sua nuova attività con una “danza” sul cavallo durante la quale si esibiva, a suon di musica, piroettando mulinelli, forbici e volteggi. eseguì poi un attrezzo che risultava da un connubio tra sbarra e parallele sul quale si mostrava in esercitazioni mirabolanti trasferendosi variamente ed improvvisamente tra l’uno e l’altro attrezzo. Poi realizzò un esercizio nel quale, in verticale su di una sola mano, con l’altra suonava al pianoforte. Però questi “numeri” non ottennero i successi che voleva. Nel 1915 studiò un vero e proprio spettacolo utilizzando un ragazzino particolarmente dotato al quale faceva compiere le più strampalate esibizioni mimando scenette umoristiche che divertivano enormemente il pubblico. Questo spettacolo, denominato “Fortunello e Cirillino”, ottenne plausi in tutto il mondo e fu rappresentato anche ai reali d’Inghilterra.
Uno degli ultimi successi di Braglia fu quando preparò e guidò la squadra italiana di Ginnastica alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1932 che si meritò la medaglia d’oro di squadra.
E ancora nel 1933 Alberto Braglia ricevette dal Ministro della Pubblica Istruzione e Belle Arti francese una medaglia d’argento per i servizi resi nel campo della Educazione Fisica e degli sports.
Nel 1952 la Federazione Italiana di Ginnastica lo nominò socio onorario.
Vero genio della Ginnastica, come succede per quasi tutti i geni presi dal solo grande interesse per le attività svolte, dopo tanti successi e tanti onori, raccolti in tutto il mondo, ebbe a soffrire una tribolata senilità. La recessione economica del dopoguerra e notevoli traversie di carattere famigliare lo colpirono a tal punto che dovette accettare, a malincuore, l’aiuto offertogli dalla sua Società, dagli amici e dal Comune.
Il 5 Febbraio del 1954 Alberto Braglia si spense.
Il Comune di Modena gli ha dedicato lo Stadio Comunale e la strada (nei pressi del Rione San Faustino) nella quale nacque.

Alberto Braglia. Nato da genitori di Campogalliano che da poco si erano trasferiti a Modena, penultimo di sei fratelli, in gioventù fu messo a lavorare presso un fornaio.
Lavorava di notte, dormiva al mattino e al pomeriggio, seguendo i suoi compagni, cominciò a frequentare la palestra della Società “La Fratellanza”.
Nel 1900 il suo nome fu citato sui giornali in quanto giunse quarto, su 17 concorrenti, in una gara di marcia di 20 chilometri: la Modena – Castelfranco – Modena.
Nel 1901 passò alla Società “del Panaro” dove le sue doti di agilità e potenza poterono esprimersi al meglio.
Nello stesso anno iniziò la sua attività di ginnasta. Inseritosi di prepotenza nella squadra agonistica conquistò un premio di terzo grado (media del sette) al Concorso Nazionale di Bologna. Da quel momento iniziò la sua continua ascesa.
Nel 1903 fece parte della rappresentativa della Panaro al Concorso Internazionale di Marsiglia dove la squadra vinse la medaglia d’oro e Braglia ottenne il secondo posto nel Campionato Europeo.
Nel 1904 partecipò con la squadra della Panaro al Concorso Internazionale di Mons (Belgio). In quell’occasione la rappresentativa modenese vinse tutto quanto c’era da vincere ed Alberto suscitò molto interesse sui tecnici europei, alla Accademia di Ginnastica, con una sua personalissima esibizione.
Schivo, un po’ scontroso, un po’ misantropo si sottoponeva ad estenuanti sedute di allenamento. E’ in questo modo che Alberto si aggiudicò l’oro ai Giochi Panellenici di Atene del 1906.
A questo oro se ne aggiunsero infiniti altri: 1’oro nel 1908 alle Olimpiadi di Londra, altri due ori (uno individuale ed uno di squadra) nel 1912 a Stoccolma e tanti, tanti altri da riempire tutto un medagliere.
L’ ho conosciuto personalmente, questo Campione e l’ ho visto nei suoi momenti più belli ed in quelli più tristi. Genio della Ginnastica, ma umano, umano come tutti noi e con un cuore grande. Mi è stato d’esempio in tutte le mie imprese e per me ha rappresentato l’eroe che con il suo esempio mi ha stimolato ad affrontare con coraggio le avversità incontrate ed a condurre le attività intraprese con costanza e ponderatezza, fino alla loro conclusione.

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